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Studiolo. Generale
Oggetto/Titolo
Studiolo
Catalogazione
n. cat. gen. 00197257
Luogo di collocazione
Museo, primo piano, studiolo
Materia e tecnica
Intonaco / pittura a fresco
Autore
Autori vari
Dimensioni
cm 332 x 413
Datazione
1550 - 1580 ca.

Descrizione breve

Illuminato originariamente soltanto da candele (l’apertura di due finestre ha causato la distruzione di parte delle pitture), questo splendido e quasi sconosciuto interno rinascimentale è affrescato con coloratissimi paesaggi, scanditi da monumentali mostri dalle gambe serpentiformi. Atteggiati in complesse pose manieristiche, questi “sguaiati telamoni” dalle espressioni beffarde e canzonatorie (a uno di essi i graffi dell’intonaco danno fattezze ancora più luciferine) sostengono il peso della volta con l’ausilio di cuscini sopra la testa.
Quattro coppie di nicchie, dipinte in prossimità degli spigoli, accolgono candelabri in finto bronzo dal forte carattere antiquario recanti targhe con la consueta sigla GRA CAR (Gratiarum Carthusia).
La volta, decorata con spettacolari grottesche dipinte a punta di pennello su fondo bianco, ospita al centro, entro una complicata cornice ellittica, la rappresentazione del Sogno di Costantino.
I finti bassorilievi delle lunette narrano vicende di epoche diverse, chiosate da didascalie oggi in parte illeggibili: Rutila, re degli Unni; Alboino, re dei Longobardi; gli imperatori Valente - morto nell’incendio del suo accampamento dopo la battaglia di Adrianopoli -, Teodosio e Massenzio; Avenir, re degli Indi, pentito, come narra il Libro di Barlaam, per aver ostacolato la conversione del figlio; San Giudoco, che aveva rinunciato al trono per condurre una vita di preghiera.
Ad ogni lunetta corrisponde, nel paesaggio sottostante, la storia di un santo monaco o eremita: San Girolamo, Sant’Umberto, ma anche il certosino San Guglielmo da Fenoglio, che lotta contro gli assalitori servendosi di una zampa d’asino.
Se l’esatto significato iconografico dell’insieme sfugge - non sembrano esserci notizie, a meno di rinvenimenti documentari, nemmeno sulla data di esecuzione e sulla mente ideatrice - il filo rosso che unisce i vari episodi sembra essere il rapporto fra potere politico e vita religiosa, con esempi di superbia punita (come Teodosio umiliato pubblicamente da Sant’Ambrogio) affiancati da esaltazioni dell’umiltà e della vita solitaria.
Non si sa nulla neppure dell’autore (o degli autori) di questo splendido ciclo pittorico. Va probabilmente respinta l’attribuzione, proposta in via ipotetica da Pesenti (1968, p. 95), a quel Giovanni Battista Pozzo che nel 1580 aveva decorato a grottesche l’oratorio al piano terra della prioria; tali dipinti, la cui paternità è documentata da una nota di Matteo Valerio (Battaglia 1992, p. 163), sembrano, anche alla luce dei recenti restauri, di qualità inferiore a quello dello studiolo.
Va a questo punto tenuta in considerazione l’ipotesi che il ciclo possa essere opera di più artisti, forse attivi in tempi diversi: la differenza di fattura pittorica è evidente se si osserva il particolare con il gigante marmoreo che sorregge il quadretto con l’Adorazione del Bambino, che, come era già stato notato (Moro in Pittura a Pavia, 1988, p. 299), è una replica parziale del dipinto di Perugino un tempo in Certosa e oggi alla National Gallery di Londra. La finta erma è, infatti, costruita con una pennellata morbida, quasi di ascendenza emiliana (che si potrebbe vagamente accostare, tanto per fare qualche paragone, a quella di un Giulio Campi o di un Bernardino Gatti), mentre l’immagine della Vergine, forse già presente sulla parete e incastonata nella nuova composizione come una gemma o una reliquia, è dipinta con un segno più minuto e nervoso, altrettanto raffinato ma decisamente diverso il Sogno di Costantino, dallo stile un po’ legnoso e arcaico ma dai lucidi trapassi chiaroscurali, è forse frutto dell’operato di un terzo artista. Sembra, invece, un rompicapo la paternità delle grottesche, la cui tipologia potrebbe sembrare, in alcuni punti, genericamente affine a certe decorazioni di Aurelio Luini recentemente pubblicate da Morandotti (2005, figg. 40 e 46-55), ma anche ad esempi centroitaliani. Dipinte con pennellata veloce e compendiaria, esse contengono guizzanti figure di ninfe e satiri, padiglioni di verzura, mascheroni mostruosi, anfore, sfere armillari e numerose immagini di animali europei ed esotici fra cui, come mi segnala cortesemente Mauro di Vito, anche un rinoceronte ripreso da una celebre stampa di Albrecht Dürer.
Esiste, in ultima analisi, la possibilità che anche l’esecuzione dei paesaggi fosse affidata a uno specialista diverso dagli anonimi autori appena citati, come forse testimonia la fattura rapida e veloce delle poche figurette umane che popolano le scene.
Mauro Pavesi (da Certosa di Pavia, progetto e cura artistica di F. M. Ricci, Parma 2006)

Bibliografia

1968 F. R. Pesenti, La Pittura, in La Certosa di Pavia, Milano, Cassa di risparmio delle provincie lombarde, 1968, pp. 95 e segg.

1981 M. T. Fiorio, Ambiente e paesaggio nella pittura lombarda del Cinquecento; convenzioni, immaginazione, realtà, in Lombardia: il territorio, l'ambiente, il paesaggio, a cura di C. Pirovano, Milano, Electa, 1981, p. 256, tav. 286.

1988 F. Moro, Giovanni Battista Pozzo (?), in Pittura a Pavia dal romanico al settecento, a cura di M. Gregori, Milano, Cassa di risparmio delle provincie lombarde, 1988, pp. 299-300.

1988 F. Moro, La fase centrale del Cinquecento, in Pittura a Pavia dal romanico al settecento, a cura di M. Gregori, Milano, Cassa di risparmio delle provincie lombarde, 1988, p. 250.

1992 P. C. Marani, Nota sui restauri nel museo della Certosa di Pavia, in Il Museo della Certosa di Pavia. Catalogo generale, a cura di B. Fabjan, P. C. Marani, Firenze, Cantini, 1992, pp. 25-29.

2005 A. Morandotti, Milano profana nell'età dei Borromeo, Milano, Electa, 2005, pp. 19, 79-80, nota 61.

2006 M. Pavesi, in Certosa di Pavia, Parma, Cariparma, 2006, pp. 327-329.

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